venerdì 18 gennaio 2013

Confini di solitudini che non cadranno mai

Quante facce si vedono ogni giorno a Berlino..

Nella metro, per strada, all'Università: mille facce diverse, occhi sfuggevoli che si incrociano per frammenti di secondo e a volte lasciano un segno. Quel bel viso, quegli occhi stanchi, le occhiaie, un sorriso, le mani sporche di fuliggine, un piede dentro uno stivale, dita che stringono una valigetta, spalle che sorreggono teste dormienti, baci prima di scendere, nasi all'insù, che cercano di orientarsi nella mappa della città, sbuffi al di là del finestrino, quando le porte si chiudono con  l'avvertimento sonoro (einsteigen bitte - zuruckbleiben bitte) e nemmeno i più forsennati gesti al capotreno servono a fermare la ubahn..
Facce bianche, nere, rosse di freddo, pallide d'inverno, nasi, bocche, lingue che si sciolgono in parlate lontane, occhi e mani: tutto si unisce in un volto unico nel mio pensiero, e compone l'identità della mia Berlino, di questa città che guardo dritta in faccia ogni volta che cammino per strada.

La mia Berlino, che osservo distrattamente nei passeggeri in ubahn, in sbahn o negli occhi del conducente dell'autobus a cui mostro regolarmente il mio abbonamento..
La mia Berlino, che è come gli autisti: a volte ignorano tutti i passeggeri che stanno salendo. A volte sanno che dovranno anche far finta di controllare i biglietti ogni tanto, e con sguardo annoiato girano la testa verso l'entrata. Ma a volte la giornata li becca bene, e con uno sguardo tra il paterno ed il soddisfatto salutano e fanno "sì" con la testa mentre gli si mostra il titolo di viaggio. Uno sguardo che ti dice "sì, stai facendo bene, avanti così!".

La mia Berlino è così, indifferente nel freddo e accogliente nei posti meno aspettati; una sorella maggiore instabile capace di buttarmi giù ed allo stesso tempo di capace di consolarmi facendosi da enorme ad una piccolissima frazione di secondo, manifestandosi nella semplicità dello sguardo di un passante.


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